La mostra “AI CRINALI DELLA STORIA. P. MATTEO RICCI (1552-1610) FRA ROMA E PECHINO”, dal 30 ottobre al 24 gennaio 2010 al Braccio di Carlo Magno, si inserisce bene nella politica di Benedetto XVI che vorrebbe si rafforzassero i vincoli di comunione con i cattolici di questo grande Paese (lettera del Papa alla Chiesa cinese, 2 luglio 2007) e nella richiesta del vescovo di Macerata, mons. Claudio Giuliodori, per la riapertura del processo canonico di beatificazione del gesuita.
Ma chi era Matteo Ricci? Padre Matteo Ricci, o Li Madou, come presto si fece chiamare, era un gesuita di Macerata deciso a dedicarsi alle attività missonarie. All'età di trent'anni, nel 1582, sbarcò a Macao. Visse per quasi vent'anni nella Cina meridionale, poiché il resto del paese era proibito agli stranieri. Qui si dedicò all'apprendimento della lingua e dei costumi locali. Capì l'importanza dei letterati nel sistema politico cinese e si fece portatore dei più alti livelli culturali raggiunti dalla civiltà europea dei suoi tempi. Ricci introdusse nella cultura cinese i primi elementi di geometria euclidea, di geografia e di astronomia con l'uso del sestante (fu autore del primo planisfero sinocentrico, della prima traduzione in cinese degli Elementi di Euclide e fu fondatore del primo osservatorio astronomico di Pechino). Proprio per questi meriti scientifici nel 1601 fu invitato a Pechino dall'imperatore Wan Li e in poco tempo divenne amico delle élite del Paese ed ebbe licenza di celebrare la messa in pubblico. Morì nel 1610, a cinquantotto anni e fu il primo straniero europeo, non diplomatico, ad essere sepolto in Cina.
Per un secolo i gesuiti a Pechino godettero del prestigio guadagnato da Li Madou e discepoli, un clima che permise l'emanazione dell'Editto di tolleranza religiosa dell'imperatore Kangxi, (1692) che autorizzava le conversioni al cristianesimo, annullava le leggi precedenti contro i missionari e concedeva il diritto di costruire chiese e di predicare pubblicamente.
Nonostante tanto progresso dall'una e dall'altra parte, con il Decreto di Nanchino del 1707 la Chiesa minacciò di scomunica i missionari che avessero accettato i riti cinesi, proprio quelli che Matteo Ricci aveva compreso essere alla base non tanto di una religione ma della struttura sociale cinese stessa. Addirittura Ricci venne accusato dai suoi confratelli d'Europa e dell'India, di aver portato in Cina un cristianesimo non genuino e di aver creato un misto di religione "cristianocinese"; fu qualificato come un "pio conciliatore delle credenze" che, pur di far dei proseliti, alterava il genuino contenuto della fede cristiana.
Dopo quattro secoli la Chiesa si rivolge di nuovo a lui, nella speranza di attingere fedeli da quell'immenso serbatoio umano che è la Cina. Padre Federico Lombardi, consigliere generale della Compagnia di Gesù, infatti, ha anche auspicato che la diocesi di Pechino possa avviare rapidamente il processo di beatificazione del primo cinese convertito da Ricci, Xu Guangqi, che è ritratto con il missionario in gran parte dell'iconografia originale. "Sarebbe importante - ha detto Lombardi - che queste due figure ritratte insieme non siano mai piu' separate e possano entrambe salire all'onore degli altari". Sarebbe importante perché anche la Chiesa cerca di costruirsi un futuro in Cina.
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