28/10/08

25/12/2007 energia VS cibo

Si parla con insistenza di «food inflation», rincaro inflazionistico dei prodotti agricoli, soprattutto dopo l'affermazione di Jean Ziegler, inviato speciale Onu per “il diritto al cibo”, che definisce la produzione del biocarburante “un crimine contro l'umanità” (novembre 2007).

La questione è la sottrazione, alla produzione alimentare, di preziosa terra arabile per destinarla ai carburanti: un recente studio di David Jackson, esperto della Lmc International Ltd di Londra, calcola che, per aumentare la produzione di biocarburanti in misura sufficiente ad assicurare il 5% dei combustibili per il trasporto, occorrerebbe destinarvi il 15% del totale di aree coltivate; secondo la Banca mondiale, ancora, il grano necessario per fare il pieno ad un fuoristrada basterebbe a sfamare una persona per un anno.
Negli ultimi anni il boom dei biocarburanti ha causato un forte aumento mondiale del costo dei prodotti agricoli, anzitutto dei cereali, con gravi ripercussioni sociali un po’ ovunque. Il mondo intero, dopo l’iniziale entusiasmo, si è accorto che non è in grado di produrre grano sufficiente sia per sfamare la popolazione sia per creare biocarburante.

Una ventina di paesi, tra cui la Cina dove l'inflazione specifica ha raggiunto l’8,3% (uova e carne, prodotti dipendenti da mangimi cereali, sono rincarati di circa il 50%), hanno imposto controlli sui prezzi dei prodotti alimentari.
L’esempio della Cina è indicativo per comprendere le potenzialità di questa scelta nei paesi emergenti e come questa sia legata a interessi che non tengono conto della sostenibilità ambientale: la crescita sfrenata dell’economia del grande gigante asiatico, che ha sottratto alla miseria milioni di esseri umani in soli vent’anni, oggi fatica a trovare le risorse energetiche necessarie. Per Pechino nessun prezzo è alto se confrontato a quello che si troverebbe costretta a pagare per la rottura del delicato e sempre più sottile consenso sociale basato sulla prosperità diffusa del miracolo economico. L’esempio più noto è quello della costruzione della diga delle Tre Gole: 2 milioni di persone “spostate”, circa 1500 cittadine e 8000 siti archeologici sommersi, il più evocativo degli scenari della poesia Tang cancellato assieme ad un ecosistema più antico dell’essere umano, per sopperire al fastidioso razionamento energetico di cui erano vittime fabbriche, imprese e multinazionali della regione di Shanghai.

La Cina, quindi, non può e non vuole tirarsi fuori dalla sfida dei biocarburanti: dal 2004 è al terzo posto tra i produttori di etanolo, subito dopo Stati Uniti e Brasile (bioethanolcarburant.com). Le conseguenze non inducono all’ottimismo. Si calcola che già nel 2008 questo paese diventerà, per la prima volta nella sua millenaria storia, importatore di grano. Le falde acquifere della Cina settentrionale, che produce più della metà del grano cinese e un terzo del suo mais, intanto, si stanno abbassando più velocemente di quanto si credesse. Il nord della Cina si sta prosciugando: la richiesta d’acqua ai tre fiumi principali che scorrono verso est nella piana settentrionale è tanto eccessiva, che questi diventano secchi per lunghi periodi dell’anno. Nello Shandong, la provincia cinese che produce più grano, la portata del fiume Giallo è scesa del 40% in 15 anni. La provincia dello Heibei, che aveva 1.052 laghi, oggi ne ha solo 83. Intorno a Pechino i pozzi d’acqua erano di poche decine di metri; oggi bisogna raggiungere 1.000 metri per trovare questa preziosa risorsa.

Il Governo cinese, allora, ha pensato bene di produrre biocombustibile da piante che non vengono utilizzate per l’alimentazione umana ed animale e diversi esperimenti sono stati effettuati con piante come la jatropha, le cui foglie, semi e frutti sono tossici.
A febbraio di quest'anno, un portavoce dei governi di queste regioni, ha affermato che il paese era pronto a devolvere più di 13 milioni di ettari di foreste e campi coltivati alla produzione di biocarburanti (Xinhua News agency). A marzo, l'Amministrazione Forestale Statale e la più grande delle compagnie petrolifere cinesi, la PetroChina, hanno firmato un accordo per sviluppare due immense piantagioni di jatropha nelle regioni sud occidentali dello Yunnan e del Sichuan (worldwatch.org). Seppure entrambe le parti hanno asserito che hanno preso l'impegno nell'interesse nazionale per la crescita di energie rinnovabili e per la sostenibilità ambientale, molti sono i sospetti. Le regioni scelte, economicamente tra le più povere del paese, ospitano, infatti, una ricchezza di varietà di fauna e di flora, di minoranze etniche e, soprattutto, la maggior parte delle aere boschive ancora intatte del paese.

L’Ufficio Nazionale di Statistica afferma che la percentuale di veicoli privati, 30 milioni nel 2006, cresce di circa il 40% ogni anno. Suona anacronistica l’affermazione di un funzionario del Ministero dell’agricoltura riportata su tutti i giornali nel dicembre 2006, solo un anno fa: “In Cina bisogna prima provvedere al cibo per 1 miliardo e 3 milioni di persone; solo dopo ci occuperemo dei biocarburanti” (atimes.com).

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